Religiosi monfortani alla scuola di san Giuseppe
Il superiore generale della Compagnia di Maria, in occasione della solennità di san Giuseppe, ha indirizzato a tutti i missionari monfortani una “lettera circolare”. In particolare, prendendo spunto dalla lettera apostolica di papa Francesco Patris Corde, invita tutti i confratelli a mettersi alla scuola di san Giuseppe, padre nell’accoglienza. Scrive il superiore generale, p. Luiz Augusto Stefani:
«Come San Giuseppe, un religioso monfortano deve essere uno specialista nell’arte dell’accoglienza fraterna. Certamente, quando abbiamo “accolto” la vocazione alla vita consacrata monfortana, come mezzo per raggiungere la santità, abbiamo assunto lo stile di vita comunitaria come parte integrante del nostro carisma e della nostra spiritualità.
La comunità fraterna deve essere il luogo dell’incontro, della preghiera, dell’ascolto nei momenti più difficili della vita. In mezzo a complicate circostanze storiche, la comunità deve essere la casa dove poter contare sulla presenza di un amico e trovare lì parole che ci restituiscano coraggio e speranza.
La comunità, con i suoi gesti e le sue parole, ci aiuta a ricordare la vita di San Giuseppe, l’esperienza della spiritualità dell’ospitalità. A tal proposito, Papa Francesco scrive:
«Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. (…) La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie» (Patris Corde, 4).
Alla “scuola di San Giuseppe”, il religioso monfortano impara a conservare coraggio e speranza nei momenti in cui tutto sembra impossibile:
«Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. (…) Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli “è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3, 20)» (Patris Corde, 4).
Alla “scuola di San Giuseppe”, il religioso monfortano apprende che nessuno può essere escluso, soprattutto i più vulnerabili:
«L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1 Cor 1,27), è “padre degli orfani e difensore delle vedove” (Sal 68,6) e comanda di amare lo straniero. Voglio immaginare che dagli atteggiamenti di Giuseppe Gesù abbia preso lo spunto per la parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32)» (Patris Corde, 4).